Mobbing, termine inglese inizialmente usato per definire il comportamento aggressivo tra individui della stessa specie per escludere un membro del gruppo.
Riferito al settore del lavoro è una delle situazione conflittuali illecite e più pericolose che possano accadere ad un dipendente e prelude alla perdita del posto di lavoro.
E’ un fenomeno particolarmente odioso perché posto in essere da un gruppo o da un soggetto “Forte” a danno di un singolo privandolo sistematicamente della dignità di lavoratore con effetti lesivi del suo equilibrio fisico-psichico e della sua personalità.
Per mobbing non si intende una malattia ma rappresenta il termine per indicare l’attività ostile posta in essere solitamente da un datore di lavoro, pubblico o privato, per isolare un dipendente al fine di obbligarlo al trasferimento o alle dimissioni. Le azioni rientranti nella categoria della costrittività organizzativa coinvolgono direttamente e in modo esplicito l’organizzazione del lavoro e possono assumere diverso rilievo ai fini del riconoscimento della natura professionale del danno derivante.
Non sempre è facile capire la differenza tra un processo di mobbing e un lecito, per quanto serio, conflitto aziendale perché si presta ad essere interpretato in maniera distorta ed utilizzato come arma da parte di dipendenti negligenti o disonesti.
Il Tribunale di Forlì, nel marzo del 2001 lo definisce come: «Comportamento reiterato nel tempo da parte di una o più persone, colleghi o superiori della vittima, teso a respingere dal contesto lavorativo il soggetto mobbizzato che, a causa di tale comportamento in un certo arco di tempo, subisce conseguenze negative anche di ordine fisico».
Si tratta quindi di:
- Un atto violento;
- Intenzionale;
- Condotto a livello psicologico;
- Ripetuto nel tempo;
- Finalizzato
- Produce danni.
Mobbing Strategico.
Il mobbing strategico si definisce così perché voluto dall’azienda ed è un preciso disegno di esclusione di un lavoratore da parte del datore di lavoro o del management che, con un’azione programmata e premeditata, intende realizzare un ridimensionamento delle attività del lavoratore o il suo allontanamento. In questo caso, le attività di mobbing possono estendersi anche ai colleghi che preferiscono assecondare il superiore, o quantomeno non prendere le difese della vittima, per non inimicarsi il capo, nella speranza di fare carriera, o semplicemente per “quieto vivere”.
Il mobbing posto in essere da un superiore si concretizza di norma mediante:
- demansionamenti. Al dipendente viene assegnato ad una mansione diversa e non equivalente a quella originariamente gestita senza che ce ne sia una effettiva necessità aziendale o in alternativa viene lasciato nella sua mansione ma, in modo graduale, gli vengono tolte responsabilità al punto che, spesso, non è in grado di svolgere alcuna attività lavorativa;
- trasferimenti di unità. Il dipendente viene trasferito ad una nuova unità scelta, in modo da risultare estremamente sgradita, per motivi di lontananza, di maggiorazioni di spesa, di responsabilità non coerenti con il profilo del lavoratore;
- continuo cambiamento degli incarichi. L’azienda, in questo caso, tenta di stancare il dipendente, assegnandogli incarichi sempre diversi, per tempi talmente brevi che il lavoratore non riesce a espletare correttamente la sua attività;
- il dipendente viene fisicamente isolato dal suo gruppo, collocando il suo posto di lavoro in ambienti disagevoli;
- esclusione dalle riunioni di gruppo;
- sottrazione o non assegnazione delle apparecchiature aziendali standard.
Questi comportamenti, secondo le leggi sul lavoro, sono illeciti e, pertanto, sono perseguibili legalmente in quanto l’articolo 2087 del codice civile prevede che l’imprenditore è tenuto a adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro».
Non tutte le angherie patite in ufficio da parte di superiori o di pari grado possono qualificarsi come mobbing . E garantire il diritto al risarcimento. Per disincentivare azioni legali la Corte di cassazione, con sentenza n.10037/2015 ha individuato delle linee guida per riconoscere il vero mobbing stabilendo che l’accertamento del danno da mobbing esige «una valutazione unitaria degli episodi denunciati dal lavoratore, i quali raggiungono la soglia del mobbing ove assumano le caratteristiche di una persecuzione, per la loro sistematicità e la durata dell’azione nel tempo.
I parametri che devono essere provati e devono ricorrere tutti sono sette:
1) vessazioni sul luogo di lavoro;
2) I contrasti, le mortificazioni o quant’altro devono durare per un congruo periodo di tempo;
3) la reiterazioni e la molteplicità degli atti;
4) deve trattarsi di più azioni ostili come: impossibilità di comunicare, isolamento sistematico, frequenti cambiamenti delle mansioni lavorative, attacchi alla reputazione, violenze o minacce.
5) Dislivello tra gli antagonisti, con la manifesta inferiorità del lavoratore;
6) conseguenze sulla salute in modo da determinare esclusione dal mondo del lavoro;
7) Intento persecutorio ovvero premeditazione finalizzata a tormentare il dipendente.
Se provato, il danno da mobbing è riconosciuto dall'INAIL il quale può rivalersi sull'azienda.
Maron Danilo
Condividi questo articolo