Con la sentenza n.11731 del 2024 la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla natura discriminatoria del licenziamento a seguito di superamento del periodo di comporto laddove le assenze del lavoratore siano connesse alla sua condizione di disabilità.
La vicenda riguardante il licenziamento di un dipendente, in forza dall’anno 2009 e con mansioni di operaio, a causa di una patologia oncologica diagnosticata nel 2010, rivela una serie di fatti significativi. Il licenziamento avviene nel luglio 2019, motivato dal superamento del periodo di comporto. Tuttavia, ciò che emerge è un contesto in cui la salute del lavoratore si deteriora progressivamente nel corso degli anni. Nel 2015, la sua capacità lavorativa subisce una riduzione del 75%, mentre le sue mansioni vengono gradualmente ridotte fino al licenziamento.
Secondo quanto sostenuto dalla Corte infatti, la società datrice di lavoro non ha valutato adeguatamente le assenze del dipendente dovute alla sua grave e cronica condizione di salute, ed in particolare non si era adoperata per verificare la riconducibilità delle stesse alla sua patologia oncologica (che si qualificava per altro in termini di gravità e cronicità), nonostante avesse l’obbligo di farlo.
La Corte ha sottolineato come sia ormai consolidato il principio che applicare il periodo di comporto ordinario ai lavoratori con disabilità costituisce una forma di discriminazione indiretta. Questo perché non tener conto dei rischi maggiori di salute e di comorbilità dei lavoratori con disabilità, dovuti alla loro condizione, trasforma un criterio neutro come il periodo di comporto breve in una prassi discriminatoria nei confronti di un gruppo sociale particolarmente svantaggiato.
La Corte ha ribadito anche che in questi casi si applica un’attenuazione dell’onere probatorio, che incombe principalmente sul datore di lavoro, e che vale anche in riferimento alla consapevolezza del datore di lavoro della condizione di d handicap del proprio lavoratore.
Tratto da www.handylex.org
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