1946 – Fu creata la LAI (Linee aree Italiane)
La compagnia operò fino al 1957 quando si fuse con Alitalia. Il controllo della compagnia era in capo all’IRI (Istituto Ricostruzione Industriale).
1996 – Governo Prodi – PRIMA PRIVATIZZAZIONE.
Il Governo Prodi decide di quotare in borsa il 37% di Alitalia. Ad acquistare i titoli ci sono anche tanti piccoli risparmiatori. Per potenziare la compagnia si tratta con gli olandesi di KLM ma per problemi legati alla razionalizzazione non si raggiunge nessun accordo.
Con l’attentato alle Torri gemelle, dell’undici settembre 2001, tutte le grandi compagnie aeree vanno in crisi. Alitalia già in difficoltà ne esce distrutta.
2006 il governo Prodi tenta una seconda privatizzazione. Punta a cedere un altro 39% della compagnia rinunciando alla maggioranza del capitale. Per cedere la seconda tranche, viene scelta la procedura di gara. Gara che fallisce per il ritiro progressivo dei possibili acquirenti spaventati dai conti disastrosi.
Mentre i conti di Alitalia e il titolo in borsa, scivolano verso il baratro, il governo decide di passare alla trattativa privata. Interessato ad entrare in Alitalia è la compagnia di bandiera francese Air-France disposta a rilevare il 49,9% di Alitalia.
I primi mesi del 2008, quando sembra che si possa raggiungere un accordo, i sindacati decidono di opporsi alla soluzione Air-France.
La questione Alitalia entra di prepotenza nella campagna elettorale. I sondaggi danno Berlusconi vincente ed Air France, temendo un governo avverso, si ritira.
2008 – IV Governo Berlusconi – ARRIVANO I CAPITANI CORAGGIOSI.
Distrutta dall’ingerenza di politici incapaci, spolpata da boiardi di stato, manager incompetenti, consulenti del non si sa cosa, affaristi senza scrupoli e sindacalisti per mero interesse personale, Alitalia è in fallimento. Un fallimento annunciato. Il titolo è cancellato dal listino di Borsa e ne pagano le conseguenze il popolo italiano e i tanti piccoli azionisti che perdono tutto.
Nel nome della “italianità” della compagnia si fanno avanti, tramite la CAI (Compagnia aerea italiana) i “CAPITANI CORAGGIOSI”.
Della cordata, guidata da Roberto Colaninno, ne fanno parte tra gli altri Benetton, Riva, Ligresti, Marcegaglia, Caltagirone ed Intesa SanPaolo guidata da Corrado Passera.
La parte sana di Alitalia viene ceduta per 300 milioni mentre tutto il passivo (2 miliardi di euro) va ad incrementare il debito dello Stato.
2013 – Arriva ETIHAD AIRWAYS.
Dopo avere perso 8000 dipendenti Alitalia è ancora in difficoltà nonostante altri 2.400 esuberi e un taglio degli stipendi.
Nel 2013 Colaninno annuncia di abbandonare. Serve, infatti, un ulteriore aumento di capitale altrimenti gli aerei restano a terra. Puntuale arriva l’intervento pubblico attraverso Poste Italiane che entra nella compagine azionaria. Il nuovo salvatore della decotta Alitalia è la compagnia Etihad che acquisisce il 49% del capitale sociale.
2017 – L’agonia continua.
Le vicissitudini della compagnia sono cronaca attuale. Ancora una volta lo Stato deve mettere i soldi dei cittadini (600 milioni) sotto forma di un prestito ponte che si rivelerà, probabilmente, più lungo di quello sullo stretto di Messina.
Sono passati gli anni, ma la storia di Alitalia è sempre la stessa. Oggi ci troviamo con una azienda aerea al collasso finanziario a rischio fallimento.
Le ragioni sono tante e molteplici. Chi gestiva la compagnia non si rese conto che il dominio dei cieli nelle tratte transoceaniche ed europee cambiava. Mentre in Europa altre linee di bandiera si fondevano creando grandi gruppi Alitalia si accontentava del predominio nelle tratte interne. Predominio perso a favore delle compagnie low cost, che riescono a praticare tariffe con le quali nessuno potrebbe competere. Rayanair, Easyjet, e recentemente Vueling, hanno il predominio dei voli interni in tutta Italia, compreso le isole, anche quelle più piccole. Nelle tratte nord – centro Italia, la concorrenza dei treni veloci hanno finito di fare il resto.
A noi, più che le ragioni di marketing, ci interessa brevemente esaminare il comportamento delle organizzazioni sindacali che hanno colpevolmente contribuito a creare questa situazione di degrado sancendo la fine di un’altra importante azienda italiana.
1 – Sindacati confederali ed autonomi non hanno mai affrontato la questione Alitalia sotto l’aspetto economico generale, limitandosi alla mera difesa dello status quo.
Imperdonabile nel 2008 non avere attentamente valutato la proposta di fusione con Air-France. Raffaele Bonanni – CISL, Luigi Angeletti – UIL, Fabio Berti – ANPAC, Guglielmo Epifani – CGIL si sono, non disinteressatamente, lasciati sedurre dalle sirene elettorali del Cavaliere preparando così la strada all’attuale declino.
2 – Indire un referendum è stato un grave errori sia del sindacato confederale che autonomo. I primi perchè non hanno voluto firmare l’accordo per paura di essere sconfessati dagli iscritti, i secondi convinti che la vittoria del NO avrebbe portato alla nazionalizzazione della compagnia.
Avere indetto il referendum, sia per i sindacati che per il personale che ha votato per il NO all’accordo, è stato, a nostro avviso, autolesionistico.
Non è più, infatti, il tempo dell’Alitalia dell’IRI o dei capitani coraggiosi dove i deficit accumulati dalla Compagnia si colmavano con cospicue iniezioni di denaro pubblico.
A volere il NO è stato in maggioranza il personale di volo più che da quello di terra.
I più penalizza dalla vittoria del NO sono le maestranze e gli operai delle officine e dei servizi. Infatti, il personale di volo ha sempre avuto un sindacato forte e potente, capace di opporsi a qualunque decisione che comportava riduzioni di personale, stipendi e benefit di piloti ed hostess.
Mentre i manager incapaci, sono usciti con scandalose liquidazioni milionarie, i piloti e le hostess, sicuramente troveranno altre sistemazioni, sono i “poveri cristi” che sulle divise non hanno disegnate le ali a pagare lo scotto di gestioni inadeguate, di incomprensioni, di poca unità sindacale, di scarsa considerazione sull’evoluzione del mercato sul traffico aereo e sulle scelte da fare. A questi non penserà Mamma Alitalia, come dicevano alcuni dipendenti, ne tanto meno gli Arabi di Etihad!
3 – Il sindacato, uscito pesantemente sconfitto, avrebbe dovuto avere l’intelligenza di affrontare in modo costruttivo tutta la vicenda, accettando anche dei sacrifici in cambio di una partecipazione nella gestione della compagnia e, a fronte dei minori stipendi, chiedere in contropartita quote di capitale sociale.
Utopia. Nel Paese dei privilegi e dei DIRITTI ACQUISITI forse SI.
Non è più il tempo degli intoccabili che nei voli intercontinentali, dove la permanenza per il personale era di qualche notte, a differenza del personale di altre compagnie, pretendevano stanze singole e non in alberghi economici. Queste notizie, sono vecchi di decenni!!!
I sindacati dicono che responsabili del fallimento sono stati dirigenti incapaci di gestire una compagnia aerea. Questo è pur vero ma è altrettanto vero che questi stessi sindacati non si sono mai opposti alle gestioni fallimentari.
Che fare, adesso? Si parla di compagnia Low cost. Importante che il low cost non sia quello di Rayanair, Easyjet e altre dove la dignità del lavoro non esiste, i diritti dei dipendenti sono prossimi alla zero e gli stipendi al limite della miseria.
No ad una Alitalia dove il lavoro è precario e sottopagato.
No ad una low cost dove ad essere low è il cost del lavoro.
In venti anni i dipendenti Alitalia si sono drasticamente ridotti ed il popolo italiano ha dovuto sborsare maggiori tasse per circa 8 miliardi di euro solo per tenere in vita un morto.
Misero epilogo per una compagnia di bandiera di proprietà dallo Stato, vettore ufficiale delle Olimpiadi di Roma nel 1960, Prima in Europa a volare con aerei a reazione nel 1969, terza compagnia del vecchio continente dopo Lufthansa e British Airways. Alitalia era e tutt’ora è, la Compagnia preferita dei Pontefici.